domenica 14 ottobre 2012

Abbiamo toccato il fondo?

 

Non è facile dirlo, o meglio abbiamo pensato in diverse occasioni di di averlo già raggiunto, ma sembra non sia solo un luogo comune che il peggio non abbia limite.

La crisi della democrazia invero non è solo italiana, ma tocca in maniera diversa tutte le democrazie occidentali, rivelandosi più gravi quanto più è il peso della organizzazione di partito nella vita politica; fino a sembrare la causa o una delle cause della gravità della crisi economica in questi paesi se confrontati con altri.

La particolarità italiana (in compagnia di qualche altro piigs) è che l'arena partitica versa in uno stato inguardabile e la credibilità dell'intero sistema politico ha oltrepassato ogni limite tollerabile; già una parte non irrilevante di cittadini lo ritiene un orpello sorpassato, inutile, irrecuperabile (e devo dire che in qualche attimo di scoramento, di fronte a qualche incredibile porcheria l'abolizione tout-curt sembra l'unica opzione possibile, tanto il marcio ha raggiunto le fondamenta.

La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora” diceva Churchill, e se ce ne fosse bisogno, la storia ha pure dimostrato che aveva ragione. Ma fino a quando non inventeremo un sistema migliore, questo ci conviene tenere; e immaginare una democrazia non mediata dalla rappresentanza è utopia (in particolare quando già le dimensioni dello stato non sono in grado di affrontare le sfide sovranazionali ed occorre allargare la base governata in solido).

Se non mediata dalla forma partito (libera associazione di cittadini che perseguono attività politica) sfocia nel populismo oppure nello scontro tra vecchi e nuovi egoismi, di ceto, di ricchezza, di territorio. E' la forma partito che va ripensata per dare spazio a democrazia interna ma contemporaneamente garantire che continui a perseguire un fine comune e non possa cadere preda di poteri particolari.

E anche questo non è semplice, anche se le nuove forme di comunicazione e aggregazione lasciano intravedere una qualche possibilità di organizzazioni reticolari anziché gerarchiche con posizioni derivanti dalla collaborazione (un “molti verso molti”) anziché sul convincimento (un “pochi verso molti”).

Traguardando un tempo breve (uno dei principali difetti del nostro sistema politico è proprio che il continuo misurarsi in elezioni dal significato sempre e comunque nazionale spinge per decisioni il cui frutto sia visibile a breve) non possiamo perderci in discorsi troppo filosofici, ADESSO un partito deve essere credibilmente NUOVO, ogni sospetto di vecchio riciclato è campagna elettorale a favore di Grillo.

Per questo sono dell'opinione che sia estremamente importante, per non dire fondamentale, dare una garanzia all'elettore in questo marasma di proposte in cui tutti sono centristi e moderati oppure puri e duri, e senza differenza puliti sostenitori del bene comune e disgustati dall'approfittare della posizione per interesse personale.

Il minimo che si possa imputare a chi è da tempo (non necessariamente immemore) nell'agone politico è abnorme ingenuità nel non aver capito quanto marcio è il sistema. Oppure disonestà, o almeno essere disposti a tollerarla, o non essere in grado di combatterla, o essersi assuefatto ad essa e tollerarla: in nessun caso meritevole di ulteriore fiducia.

Un partito che voglia la mia fiducia allora deve adottare statuariamente il limite di mandati a tutte le cariche interne ed elettive e a tutte le posizioni di nomina politica in comitati, consigli di amministrazione e baracconi vari. Che altra proposta potrebbe convincermi quando ormai nulla più mi stupisce?
 



sabato 28 aprile 2012

Chi paga le strade? (nota intorno al populismo e all'antipolitica)


Davanti a casa mia c'è una strada. Fin qui nulla di strano, succede a molti.
Questa strada è asfaltata. Sulla strada si affaccia il mio garage, e l'inverno viene pulita dalla neve; sotto l'asfalto scorre la fogna, cui la mia casa è collegata. 
Tutto ciò,ce non solo, e per tutte le case della mia città, non lo pago io, ma il mio comune; con soldi veri, facendo lavorare persone vere: chi altri dovrebbe pagarlo? 
E' onere e onore della comunità locale, e nei paesi civili si paga attraverso la tassazione di abitazioni e attività produttive, cioè di chi ne gode i frutti.
Leggo sempre più spesso attacchi alla reintroduzione dell'ICI (ora IMU, come dire diversamente ICI) e ad altre forme di tassazione, e osservo con crescente preoccupazione gli italiani farsi convinti che tutto è dovuto e nulla è da pagare, ammaliati da istrioni e abbindolati da falsi profeti.
Aboliamo l'ICI (chi mi conosce sa che devo pagarla, e che critico l'abolizione da tempi non sospetti) e asfalteremo le strade a spese di chi? Solo delle attività produttive, già sufficientemente massacrate da essere specie in pericolo di estinzione nel nostro paese? Della collettività generale, nonostante fossimo tutti diventati federalisti, o non c'è più una riforma in itinere?
Mi diverte vedere i sindaci (!) schierarsi contro l'IMU, di cui incassano l'intero importo per la prima casa: non è troppo comodo pretendere ritorni dallo stato (per spendere) senza renderne conto ai concittadini (di quanto si deve e si può spendere)?
E poi ricordare che sotto la strada c'è la distribuzione di acqua, luce, gas, telefono e banda. Affidiamo tutto al mercato,  per cui non ci sarà acqua, luce, gas e banda per la campagna, per i quartieri poveri, per le città dormitorio e comunque dove non c'è un ritorno? E perché non eliminare la tassazione in totale e rinunciare a polizia, difesa, smaltimento rifiuti, protezione dell'ambiente, ospedali, scuole e civiltà?

Giusto scandalizzarsi per quanto male i soldi sono stati e sono spesi, ma attenzione a voler non riflettere e buttare l'acqua sporca col il bimbo dentro. Vi piacerebbe una società con gli ospedali solo per i ricchi, le scuole per chi se le può permettere, quartieri blindati da polizie private ed altri allo sbando sociale? Dove la misura sia il bene privato e non il bene comune, in cui la persona conti per la capacità di spesa e non in quanto cittadino, persona, uomo? Questa e la strada giusta; diceva Nice, la legge è un'invenzione dei più deboli per incatenare i più forti.

Non ci piace l'attuale situazione, corruttela e privilegio dominante? Eppure sono quarant'anni che NOI - cittadini - tolleriamo, giustifichiamo e affranchiamo corruzione, clientelismo e parassitismo sociale: dove eravamo quando c'era da sturarsi il naso? 
Ora preferiamo la sospensione della democrazia, perché questo è la rinuncia alla politica, non il governo tecnico, che se mai somiglia più alla dittatura nella Roma antica che nella storia moderna; è molto più comodo e facile che tirarsi su le maniche e rimettere ordine nella nostra vita personale e collettiva.

Buona fortuna.



sabato 21 gennaio 2012

Isole pedonali, biciclette ed outlet...


Scoramento e disappunto sono state le mie reazioni  leggendo sul settimanale locale le interviste riportanti i giudizi degli esercenti locali sulla proposta di allargare permanentemente l'isola pedonale.
Scoramento perchè ancora una volta la nostra città di dimostra cieca ai cambiamenti e in inesorabile declino, culturale ancor prima che economico; disappunto nel vedere così sprecata la più grande ricchezza del nostro territorio: la Piazza, ed il centro tutto.
Ci vorrebbe un coraggio oggi non disponibile per rivoluzionare Vigevano e renderla a misura di pedoni e ciclisti, si dovrebbe mettere in discussione l'intera viabilità, con idee nuove e sguardo diverso, lo sguardo delle due ruote; ma questa è l'unica strada per salvare il centro dalla desertificazione.
Nulla è più come una volta. 
Credono davvero i commercianti di poter competere coi centri commerciali lasciando i potenziali clienti arrancare fin alla vetrina con la loro automobile, salvo poi percorrere a passo d'uomo interi isolati in ricerca di un parcheggio che inoltre costa, è scomodo, fa perdere tempo e mette poi fretta nella scelta per l'approssimarsi del termine di sosta? Competere in questo modo con in centri costruiti lungo le principali vie di comunicazione e circondati da ampi e comodi parcheggi?
O non si dovrebbe invece cambiare paradigma e puntare su chi compra in centro come naturale conseguenza di una piacevole, abitudinaria passeggiata? Piacevole perchè immersi in spazi ineguagliabili dall'architettura contemporanea (per i costi, se non altro); perchè luogo di chiacchiericcio e incontri; perchè agibile e sgombro di autoveicoli, da raggiungere (a piedi, in bici) senza litigare con code e varchi.
A questo cliente dovrebbero guardare gli esercizi del centro (allargato): nessuno verrà in via Dante a comprare l'acqua minerale (perchè la compra è un problema a parte). E mentre compra l'acqua minerale comprerà anche i generi di prima necessità e questa guerra è persa contro i supermarket; alle vetrine del centro possono essere riservati gli acquisti più piacevoli, quelli del "perchè è bello". 
Vigevano ha già il suo Outlet: in questi termini va gestito il centro, usando gli stessi criteri del marketing, un po' cinico e freddino, impiegato per valutare e valorizzare le potenzialità dei centri commerciali (offerta, posizione...); criteri da implementare cooperativamente, con sforzi e costi condivisi, perchè ogni negozio in più è ricchezza per tutti ed ogni esercizio in meno rende tutti più poveri (proprietari degli immobili compresi, a lungo termine). L'amministrazione faccia la sua parte (che non ha mai fatto, qualunque fosse il colore: vadano tutti in stage in Olanda o Saarbruken o almeno a Parma o Ravenna) e dimentichi cadute di stile come la ciclabile della Sforzesca o osservazioni fuori luogo del tipo "le piste ciclabili sono buone solo per il turismo, e fuori città".  O si crea una alternativa alle auto o ci si rassegna a un centro solo residenziale. 
Pedalate, gente, pedalate.