domenica 18 luglio 2010

Combattere la speculazione


Perché sembra impossibile combattere la speculazione selvaggia? (O meglio dire quella puramente finanziaria, perché la speculazione è una componente essenziale del sistema economico moderno).
Uno speculatore scommette sulla crescita o - oggi ben più spesso - sulla caduta di un titolo; ma se la speculazione è lasciata senza controllo politico (per connivenza col potere e per obbiettive difficoltà a dominare un fenomeno oggi di dimensioni transnazionali) allora l'economia diventa solo una scusa per la finanza; e più instabile sarà, più offrirà opportunità alla speculazione stessa.
In una "borsa mondiale" dove i capitali possono muoversi istantaneamente senza vincoli geografici (e si può speculare 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, c'è sempre una borsa aperta!) diventa legge la ricerca del maggior profitto nel minor tempo possibile; di fatto l'investimento sparisce lasciando spazio solo alla scommessa.
Se poi posso scommettere con soldi che non ho, e guadagnare cifre da capogiro se vinco, o fallire quasi impunemente se perdo (chi ha pagato per aver sbagliato speculazioni nella recente crisi?), allora ho il quadro della finanza mondiale oggi. Guadagni privati, perdite della collettività, questo è ancora definibile capitalismo?
Le lobby in campo sono apocalittiche perché tutti i centri finanziari sono coinvolti, chi più, chi molto di più, nella speculazione finanziaria; e, da che mondo è mondo, dove sono i soldi c'è anche il potere. I tentativi di contrastare il fenomeno sono pochi, timidi, irrisi dai media, tacciati di estremismo: di già attuato mi viene alla mente solo il divieto di vendere allo scoperto azioni tedesche alla borsa di Francoforte (viva Merkel).
Nessuno riesce però a spiegare perché è sbagliata la proposta di tassazione delle transazioni finanziarie a breve (la Tobin Tax) e quali danni potrebbe mai provocare, ne perché non viene proposta al G7, G8, G20 e G80, per non parlare del WTO e Banca Mondiale che sembrano (sono) più l'espressione della finanza globale che dei paesi che vi aderiscono: per scelta (del potere finanziario, quelli ricchi) o per ricatto (per ottenere prestiti, quelli poveri).
E sfido chiunque a spiegare come può sopravvivere una industria che deve rientrare degli investimenti in ore anziché in mesi.
Lasciamo scommettere sul default di un paese (Grecia? Spagna? Irlanda? Portogallo? ITALIA?). Vedremo la mano magica del mercato allungarci un (altro) sonoro scapaccione.


giovedì 15 luglio 2010

Non posso non citare


Questo intervento di Savino Pezzotta
Se la tattica ci divide (ormai non credo più nella possibilità di riconversione dell'UDC) tutto il resto ci unisce. 



martedì 13 luglio 2010

La pensione è un problema di solidarietà


e non di rendimento economico o di tassazione dello stato.
Allora perché arroccarsi sulla linea Maginot della pensione di anzianità?  Chiediamoci casomai il perché di questa istituzione tipicamente italiana..

Credo che nessuno possa contestare che il sistema pensionistico nasca per garantire a tutti i lavoratori, oltre alla sicurezza economica nella vecchiaia, una sorta di mutua assicurazione a copertura di sfortunati eventi della vita. Senza arrivare allo specifico istituto della pensione di invalidità, la raccolta collettiva garantisce il singolo privandolo allo stesso tempo della possibilità di guadagnare di più rischiando di più. Evitando, insomma, di avere ricchi (abili o fortunati) ed indigenti (incapaci o sfortunati), preferendo dignità per tutti.
Più in generale il sistema pensionistico ha l'obbiettivo di redistribuire risorse accolte dalla collettività degli aderenti in funzione del reale bisogno del singolo, soccorrendo chi è più sfortunato attraverso un piccolo contributo di tutti i fortunati, garantendo ad ognuno una vita dignitosa fino alla conclusione naturale.
Se questa è l'ottica, la pensione di anzianità è una singolarità, anche facendo salvo il principio di lavoro usurante (che comunque perde rilevanza mano a mano che la tecnologia e la civiltà rendono sempre meno frequenti i casi di usura fisica). 
L°anzianità non è un aspetto di solidarietà, ma di remunerazione: tanto ho lavorato e quindi, indipendentemente dalla mia età anagrafica e dalla condizione psicofisica, ho diritto al trattamento pensionistico perchè ho versato per tutti questi anni.
Questo alla faccia dei coetanei che hanno avuto la sfortuna di incappare in periodi di disoccupazione prolungati, che hanno avuto difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro - caso sempre più frequente - e via di questo passo. Sei stato disoccupato? Peggio per te, lavora ancora.
E normalmente il soggetto lo farebbe volentieri, solo che il lavoro ci fosse anche a sessant'anni...  arriviamo all'assurdo che chi ha cumulato il diritto alla pensione viene preferito a chi ha ancora necessità di lavorare perché gode di sgravi parafiscali, per non parlare dei pensionati che lavorano in nero (o in grigio), ma questo è un discorso ancora diverso...
Una proposta di eliminare in toto il concetto di anzianità, lasciando solo quello di età anagrafica, è così inammissibile? 
Si potrebbe portare la pensione di vecchiaia a 62 o 63 anni. e ovviamente, come già succede con il sistema contributivo, chi più ha versato più ottiene in pensione, ma non prima. E incoraggiando e/o riformando il mercato del lavoro perché continui  a occupare gli ultracinquantenni si possono ottenere anche significativi benefici per l'equilibrio economico del sistema pensionistico collettivo.