giovedì 2 giugno 2011

Referendum acqua: non affidiamo al mercato i beni condivisi



Perché questo è l'oggetto sotteso ai due quesiti referendari: affidare o meno la distribuzione dell'acqua alle sole logiche di mercato.
Anche laddove si parla di beni condivisi (appartenenti alla comunità nel suo insieme) la logica del profitto porta a produrre un bene fino a che il prezzo che se ne può ricavare è superiore al costo di produzione. Quando i costi non sono sopportati dal produttore, ma dalla comunità nel suo insieme, la produzione continua anche quando i costi sono globalmente superiori al ricavo, e "la mano invisibile" del mercato sbaglia la presa. Profitti privati e costi pubblici.

Senza demonizzare il profitto o, all'opposto, illudersi che il mercato sia la soluzione dei mali dell'homo oeconomicus, va preso atto che solo una regolamentazione indirizzata al bene comune può garantire l'uso corretto di qualunque risorsa che non sia di completa proprietà (intesa come assunzione in toto di vantaggi e costi derivanti dall'uso e possesso). Basta pensare all'industria potenzialmente inquinante, dove in assenza di regole il ricavo è privato ma i costi di inquinamento sono pagati dalle collettività. La collettività potrebbe considerare i costi superiori ai ricavi, ma questo semplice fatto non frenerebbe l'attività del privato che ne ha i vantaggi; deve farlo la politica attraverso la legge (sembra ironico dirlo qui e oggi, ma il compito della politica sarebbe la massimizzazione del bene comune, non del proprio tornaconto).

Che la logica di mercato sia inadatta al controllo dei beni condivisi dovrebbe essere evidente, almeno a chi non neghi l'assunto della eguaglianza dei diritti della persona umana. Questo è un caso evidente in cui il prezzo non può essere proporzionale al costo e ancor meno al bisogno (cioè al volto triste della domanda). Leggendo i reportage sulla vita degli slum dovrebbe colpire intensamente il fatto che l'acqua, nello slum (di Calcutta, come di Nairobi o di San Paulo), costa molto di più che non per le piscine o per l'innaffiatura dei prati degli adiacenti quartieri di ricche residenze. E' come per l'usura: il tasso di interesse è maggiore quanto più alta è la disperazione del bisogno.
E' esattamente la logica inversa alla fascia sociale: il concetto contrario a quello della attenzione al bisogno che vede un prezzo - non per nulla detto politico - della quantità "necessaria" e un prezzo maggiore per la quantità "superflua o inessenziale". Per la verità é un concetto sta scomparendo da ogni "servizio" fornito dalla società (dallo stato), e sicuramente scomparso da quelli privatizzati: i meno giovani ricorderanno che anche la SIP applicava alla telefonia una tariffa sociale per i primi scatti di ogni bimestre.

E fa sorridere l'accusa di comunismo mossa a chi difende questo tipo di intervento pubblico; non si sta propugnando la regola che tutti sono identici, ma che tutti sono uguali: hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri (questi si dimenticano più facilmente). Ciò che va difeso è appunto il "diritto" ai beni fondamentali, che non sono il SUV o la camicia firmata, ma aria, acqua, salute, istruzione...

Quindi, VOTA!

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