sabato 29 ottobre 2011

Cattolici, nuova politica


Il presente periodo storico dimostra oggettivamente una presenza dei cattolici in politica che potremmo ottimisticamente definire debole, sia nel senso della non rilevanza, sia nel senso della scarsa credibilità degli attori. Non me ne vogliano i pochi cattolici impegnati e coerenti, che pur esistono, ma la presenza significativa e credibile nella realtà di oggi è indifendibile. 
Io credo che questo dipenda dalla mancanza di una proposta coerente; dalla percezione che negli ultimi vent'anni ben poco, ascrivibile a un partito, sia interpretabile come bene comune; ma anche dal fatto che, come cattolici, ci siamo trovati a dover scegliere tra la difesa dei valori che riteniamo irrinunciabili (vita, famiglia, educazione,,,), contro il relativismo imperante, oppure la difesa dei valori a cui siamo comunque chiamati dalla dottrina sociale della Chiesa (giustizia, equità, carità...) contro egoismo, particolarismo, individualismo.
L'esperienza della Democrazia Cristiana non è ripetibile (e sotto certi aspetti, per fortuna!) ma oggi forse più di ieri sentiamo la necessità di un riferimento che aggreghi intorno alla "cultura" di matrice cristiana quanti, credenti e non credenti, in questi valori si rispecchiano. 
Forse non è più tempo di pensarsi maggioranza, ma proprio per questo siamo chiamati ad essere attori e non destinatari della azione politica; chiamati a abbandonare cinismo, rassegnazione e voglia di Aventino in nome di una Speranza che ci sprona. 
Senza illuderci: oggi più che mai è necessario che chi in politica vuole agire abbia ben chiaro che non deve e non può trarne benefici personali, non più; deve non solo essere corretto, ma esserlo al di sopra di ogni sospetto, chiamato ad essere vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. 
Su questo si gioca il futuro di un progetto, perché solo la verità sopravvive alla contingenza. La credibilità personale di chi in politica si dichiara cristiano diventa o testimonianza o motivo di scandalo, e sarà infine sottoposta a un giudice che non si può ingannare. Chi si sente chiamato, risponda. 

Pubblicato sull'Araldo Lomellino, 28/10/2011



domenica 7 agosto 2011

Il due Agosto su Avvenire ho visto una tabella che compara gli stipendi (medi) netti di operai, insegnanti e politici in alcuni paesi Europei (di fonte OCSE e questore Colucci).

                Operai    Insegnanti   Politici
Italia           1250        2300       10257
Germania         1700        2500       11863
Inghilterra      1900        3300       8540
Francia          2500        4500       9932

ci sono state reazioni di insegnanti che lamentavano la sopravvalutazione delle retribuzioni indicate, che peraltro sono una media comprendente università (e quindi baronie) ma forse sfugge il vero contenuto.
Il rapporto delle retribuzioni tra operai e insegnanti nei paesi elencati è più o meno lo stesso; e sono sicuro che gli operi avrebbero potuto scrivere le stesse cose scritte dai docenti sul loro netto, almeno quelli fortunati, che il posto di lavoro lo hanno ancora.
Docenti, impiegati, operai, dirigenti, commercianti, professionisti... dobbiamo tutti prendere atto che dal punto di vista monetario le retribuzioni in Italia sono e saranno tra le più basse in Europa se permanendo lo status quo. Il discorso si fa molto più complesso quando lo rapportiamo al costo e alla qualità della vita, mangiare all'italiana per esempio è un lusso in Germania o in Inghilterra (e un mio caro amico sostiene che è il clima che consente a noi, europei del sud, di sopportare cose che al nord farebbero inorridire). Comunque balza all'occhio che solo i politici hanno in Italia stipendi "europei?
Oggi però la cosa più importante oggi è mantenere il livello occupazionale: se crediamo nella solidarietà dovremmo essere disposti  a discutere di occupazione più che di retribuzione (anche se sempre e soltanto in una ottica di giustizia). Non esiste l'uomo nero, la realtà di oggi è il risultato dei nostri comportamenti collettivi di ieri.
Comportamenti che comprendo tollerare l'iniquità (la retribuzione dei politici italiani è 8 volte quella di un operaio, in Germania è 4 volte - dei politici onesti, che sì saranno la maggioranza, ma tra doppi incarichi, disonesti e lavativi,,,
Ma come paese, più in generale, abbiamo tollerato e tolleriamo "elasticità" di fronte alle regole (paghiamo le tasse, rispettiamo il codice della strada, ci comportiamo civilmente solo se sanzionati o premiati); e abbiamo tollerato, tolleriamo e adottiamo comportamenti di salvaguardia e adozione di privilegi a tutti i livelli. 
Invece di scandalizzarci per le caste dovremmo iniziare ad usare come metro di giudizio e guida alle nostre azioni il bene della intera comunità, oltre i confini di campanile e regione, ed anche oltre i confini nazionali ed europei - il bene comune è un dato universale. 
I nostri figli ci ringrazierebbero, domani. L'oggi non cambierà con bacchette magiche.

(pubblicato su avvenire, lettere al direttore, Domenica 7 agosto, con  - come semore - bella risposta)

mercoledì 6 luglio 2011

La tua libertà comincia dove finisce la mia


Non era proprio questa la frase di Martin Luther King. Eppure per molti si adatta molto di più all'oggi della partecipazione alla società che non l'originale La mia libertà finisce dove comincia la tua.

Differenza sottile. Eppure in val di Susa (senza dimenticare Genova e neppure Scanziano, e le discariche napoletane) una volta ancora si dimostra che non è nel DNA del convivere "civile" la capacità di protesta democratica.
Con tutti i mezzi a mia disposizione combatto (e devo combattere) ciò che disapprovo delle scelte della comunità a cui appartengo, fino a quando la mia posizione non prevarica quella dell'altro; la protesta in un paese democratico (e per sgombrare il campo alle battute, il discorso non vale solo per l'Italia) non può trascendere il limite della pressione verso il potere, quel potere costituito a prendere quella decisione. Piaccia o non piaccia, è la regola della democrazia.
Ciò che più mi disgusta non è la violenza di pochi (i facinorosi ci sono sempre stati e temo sempre ci saranno), ma il non dissociarsi dei molti, che pure sbandierano democrazia e società civile dandone una interpretazione del tutto personale, sullo stile di Luigi XIV: lo stato sono io.
Molti ma non tutti: la protesta civile c'è, ma messa in ombra e resa inutile dagli eccessi, che fanno, han sempre fatto e faranno il gioco degli altri.




giovedì 2 giugno 2011

Referendum acqua: non affidiamo al mercato i beni condivisi



Perché questo è l'oggetto sotteso ai due quesiti referendari: affidare o meno la distribuzione dell'acqua alle sole logiche di mercato.
Anche laddove si parla di beni condivisi (appartenenti alla comunità nel suo insieme) la logica del profitto porta a produrre un bene fino a che il prezzo che se ne può ricavare è superiore al costo di produzione. Quando i costi non sono sopportati dal produttore, ma dalla comunità nel suo insieme, la produzione continua anche quando i costi sono globalmente superiori al ricavo, e "la mano invisibile" del mercato sbaglia la presa. Profitti privati e costi pubblici.

Senza demonizzare il profitto o, all'opposto, illudersi che il mercato sia la soluzione dei mali dell'homo oeconomicus, va preso atto che solo una regolamentazione indirizzata al bene comune può garantire l'uso corretto di qualunque risorsa che non sia di completa proprietà (intesa come assunzione in toto di vantaggi e costi derivanti dall'uso e possesso). Basta pensare all'industria potenzialmente inquinante, dove in assenza di regole il ricavo è privato ma i costi di inquinamento sono pagati dalle collettività. La collettività potrebbe considerare i costi superiori ai ricavi, ma questo semplice fatto non frenerebbe l'attività del privato che ne ha i vantaggi; deve farlo la politica attraverso la legge (sembra ironico dirlo qui e oggi, ma il compito della politica sarebbe la massimizzazione del bene comune, non del proprio tornaconto).

Che la logica di mercato sia inadatta al controllo dei beni condivisi dovrebbe essere evidente, almeno a chi non neghi l'assunto della eguaglianza dei diritti della persona umana. Questo è un caso evidente in cui il prezzo non può essere proporzionale al costo e ancor meno al bisogno (cioè al volto triste della domanda). Leggendo i reportage sulla vita degli slum dovrebbe colpire intensamente il fatto che l'acqua, nello slum (di Calcutta, come di Nairobi o di San Paulo), costa molto di più che non per le piscine o per l'innaffiatura dei prati degli adiacenti quartieri di ricche residenze. E' come per l'usura: il tasso di interesse è maggiore quanto più alta è la disperazione del bisogno.
E' esattamente la logica inversa alla fascia sociale: il concetto contrario a quello della attenzione al bisogno che vede un prezzo - non per nulla detto politico - della quantità "necessaria" e un prezzo maggiore per la quantità "superflua o inessenziale". Per la verità é un concetto sta scomparendo da ogni "servizio" fornito dalla società (dallo stato), e sicuramente scomparso da quelli privatizzati: i meno giovani ricorderanno che anche la SIP applicava alla telefonia una tariffa sociale per i primi scatti di ogni bimestre.

E fa sorridere l'accusa di comunismo mossa a chi difende questo tipo di intervento pubblico; non si sta propugnando la regola che tutti sono identici, ma che tutti sono uguali: hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri (questi si dimenticano più facilmente). Ciò che va difeso è appunto il "diritto" ai beni fondamentali, che non sono il SUV o la camicia firmata, ma aria, acqua, salute, istruzione...

Quindi, VOTA!

sabato 30 aprile 2011

Libia, Siria, Irak....


Mi sarebbe difficile prendere una decisione sulla Libia oggi, se toccasse a me.

Stendiamo un pietoso velo sulla politica politicante, che prende posizioni ideologiche e /o di pura convenienza. E, per quanto io sia sempre (o quasi sempre) in disaccordo con la Lega, almeno dimostra una coerenza ideologica. For di bal. E le opposizioni si oppongono, anche se non proprio. Perchè? Perchè sono alla opposizione. Chiaro e coerente, no?

Quando Saddam invase il Kuwait, nonostante il sospetto ci interessasse più il Q8 del Kuwait, mi sembrava abbastanza chiaro che la comunità internazionale non potesse tollerarlo. Che si direbbe se invadessimo la Svizzera?  Ovviamente privilegiando il dialogo e le sanzioni, la strada non poteva essere che quella.
Qui abbiamo un dittatore anche se pieno di petrolio, e ancora mi viene nausea a pensare alle ragazze invitate da Gheddafi, in Italia, a sentire i suoi proclami, con ben pochi scandalizzati. Abbiamo un popolo oppresso che chiede aiuto, e che ha già attraversato il suo Rubicone. Se stiamo a guardare saranno massacrati.
A differenza (per lo meno per quanto io ricordi) di ogni altro intervento "umanitario" questo intervento è in appoggio a una opposizione interna. Non fa sicuramente piacere a un bel gruppo di regimi e questo rende l'ONU quanto meno apatica, perchè l'utopia  è favola e la reltà non è altrettanto bella, e l'opposizione interna è un affare interno.
Mi chiedo se sarebbe giusto più stare qui a dire cattivello al Rais e guardare da spettatori l'annichilimento dell'opposizione. O peggio, tollerarlo in none della paura dell'integralismo, come a suo tempo noi "occidentali" abbiamo fatto finta di non vedere cosa facevano un bel numero di regimi tirannici in nome della paura del comunismo (senza parlare di sudamerica, bastano Iraq e Iran come esempio?). E intanto aspettiamo una nuova Pristina, un nuovo Kosovo?
Mi sento più pacifista secondo lo stile di Giovanni Paolo II o Giovanni XXIII, con un sacco di se e di ma...



mercoledì 23 febbraio 2011

Intervista a Telepavia


Potete trovare l'intervista in tre parti su youtube (glab: dura mezz'ora!)

Parte 1 Parte 2 Parte 3


sabato 12 febbraio 2011

Cornuti & mazziati (a very italian story)


Nasce il registro delle opposizioni per chi non vuole ricevere chiamate telefoniche di televendita. Suna un po' come presa in giro (diciamo così) in quanto qualche anno fa sembrava invece che ti potessero disturbare (diciamo sempre così) a casa tua, al telefono (mentre mangi, riposi o ti fai i fatti tuoi), per piazzarti vino, tv, adsl e quant'altro non vuoi, SOLO se davi il consenso. Ora invece sembra che devi acconsentire ad essere lasciato in pace.
Comunque, parte il registro. Allora, mi iscrivo. Subito, non perdiamo tempo.
Sorpresa: non puoi iscriverti se il tuo numero non è sull'elenco (numero che si è perso dall'elenco durante la peregrinazione tra fornitori di telefonia: io no ho MAI chiesto di non essere sull'elenco, ho solo chiesto ci fosse il simbolo "non rompetemi al telefono"...)
Quindi non posso essere iscritto al registro delle opposizione. E va bene.
Stesso giorno, suona il telefono. "Buongiorno sono pinca pallino e le telefono per conto di Telecom Italia. Prima di iniziare le voglio dire che il numero è stato estratto dall'elenco tefonico.."
"Dall'elenco?", interrompo. "Quale elenco, che sull'elenco non ci sono e non posso iscrivermi al registro delle opposizioni??". E le risparmio un mucca leggiadra (porca vacca): fine della chiamata.
Quindi: non posso iscrivermi al registro delle opposizioni; non posso essere trovato sull'elenco, tranne dai rompi.....; non posso difendermi in altro modo che maltrattando (malcapitate) signorine a cui è stato dato il mio nome per vendermi qualunque cosa non mi serva...
ITP: Italian Style Privacy. Mi viene voglia di telefonare al Garante, a casa sua, per vendergli della babygella.
Ma lo sapete voi quanto lo paghiamo?