Lettera al direttore, pubblicata su Avvenire del 18 giugno 2013
Caro
Direttore,
grazie alla
riforma Fornero la mia pensione si sposta dal 2015 al (forse) 2021.
Questo non mi preoccupa: lavoro volentieri, fin che il lavoro c'è...
oggi, quando si è fuori, si è fuori, sopratutto oltre i 50...
Intendiamoci:
non credo nell'assistenzialismo, ma un po' di abitudine ad analizzare
dati (per professione) mi porta a interrogarmi sulla incoerenza alla
base dei provvedimenti invocati ed attuati per fronteggiare la crisi:
si trattiene al lavoro un “diversamente giovane” per risparmiare
sulla pensione e poter fornire un sussidio di disoccupazione?
Come la
politica della parità di bilancio eccessivamente rigida, deprimendo
i consumi, ha peggiorato la crisi economica, così diminuire o
bloccare la fuoriuscita in un un momento in cui entrare nel mondo del
lavoro è una lotteria vinta, più fantasia (in economia si chiama
innovazione), più coraggio, più determinazione sono necessarie per
rompere lo schema “chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori”.
Mi chiedo se
davvero le timide voci di scambio generazionale siano state
considerate o semplicemente archiviate come farneticazioni in nome di
un “conservatorismo”; cioè resistenza al cambiamento che poi è
la caratteristica di una compagine di comando “vecchia”.
Caro
direttore, se mi si offrisse un part time con affiancamento di un
neoassunto che mi sostituisca tra 5-6 anni quale sarebbe il costo?
Lo stato
potrebbe non chiedere contributi per il mio part-time, compensando
così una parte della riduzione del mio reddito; eviterebbe il
sostegno a un non occupato, che comunque la società deve erogare per
mantenerlo (essendo improduttivo, ma vivo) o direttamente come Stato
o come famiglia; avrebbe i contributi del suo compenso al posto dei
miei e senza avere una pensione da erogare come richiesto
dall'equilibrio del settore.
L'azienda
rischia pure di risparmiare (i contributi risparmiati e metà del mio
costo probabilmente sono più del costo di un neolaureato in questo
mercato drogato che non bada meno alla competenza che alla anzianità)
e si garantirebbe il mio know-how, il suo trasferimento a un giovane
e l'energia di forze nuove.
Avremmo un
non occupato in meno, un familiare a carico in meno, uno scoraggiato
in meno. Non è poco.
Non è
facile. Ma perchè, deve necessariamente essere facile
ben-amministrare?
Ovviamente
non è la panacea, non può essere applicato dappertutto e per tutti,
ma molti ex giovani oggi potrebbero sopportare un taglio di reddito
purché i figli lavorino e non siano più a carico, e la sanità non
diventi un onere da pagare invece che un servizio di cui usufruire.
Sicuramente un genitore avrebbe convenienza anche
economica nel lavorare in part time e non avere il figlio 25-enne a
carico e nullafacente.
Qual'è il
problema? Che nessuno ne approfitti (ad esempio lavorando o facendo
lavorare l'altro 50% del tempo in nero) sia dal lato datore di lavoro
che lavoratore. Come sempre il problema è etico!